Via Heckmair-Harrer-Vorg-Kasparek salita nell’agosto del 1938
Scrivere un report su questa via è impresa dura… è una salita talmente ambita, sognata, e con una così forte storia alle spalle che averla percorsa per la prima volta, per di più con un cliente, mi lascia in uno stato di felicità e sogno indescrivibile.
Con il solito instancabile Max Lucco, si sono aggiunti questa volta Nicolas Meli e Gian Bazzocchi, cari amici e compagni di cordata con i quali abbiamo così festeggiato in gran stile il compleanno reciproco, da poco passato.
Dopo esserci posti mille domande sul nostro stato di allenamento, con Max decidiamo di partire per la parete. Invece, a farci sentire come due pivelli ci ha pensato il Gian, che di allenamento aveva due giornate a Montestrutto in falesia, ed è uscito egregiamente dalla via con Nik.
Alla stazione dell’Eigergletscher eravamo in nove cordate. Subito si è instaurato un clima di collaborazione per non intasare la via, poi come sempre succede, alle prime difficoltà qualche battibecco c'è stato, ma fortunatamente Max ed io siamo riusciti a mantenerci in testa alla fila insieme a Simon Antamatten, anche lui lì con un cliente.
Simon, oltre ad essere un alpinista fortissimo che non ha bisogno di presentazioni, si è dimostrato davvero una brava guida ed una persona umile e piacevole. Abbiamo allegramente scherzato per tutta la salita, e devo ammettere ne vado fiero, ha fatto i complimenti si a me che a Max per come abbiamo svolto la salita. Alla fine, siamo usciti in 11 h.
Max ha dato prova di grande preparazione, essendo velocissimo su ogni terreno. Alla fine sulle salite passiamo il tempo a dire stupidaggini e a scherzare, non ho mai bisogno di dirgli cosa fare.
Bravo Max, sei davvero un ottimo socio.
Ma torniamo alla via Heckmair, un vero gioiello nelle Alpi. Salendo lungo la via, in ogni istante, ho pensato che al ritorno, mi sarebbe piaciuto stringere la mano agli apritori per il loro coraggio, per la loro determinazione, per la loro bravura e allo stesso tempo per la loro pazzia. Lanciarsi nei mesi estivi su una parete simile con l’attrezzatura dell’epoca era un vero suicidio. E la storia lo conferma… quante cordate hanno perso la vita durante i tentativi di prima salita.
Riporto di seguito un pezzo scritto da Heirich Harrer sul suo libro “Parete Nord”:
« Precipita in modo brusco e inaccessibile, riceve e trattiene tutte le perturbazioni che colpiscono la montagna da nord e da nord-ovest, ha un volto cupo e mutevole: ghiaccio, roccia, neve, valanghe, scariche di pietre… E’ una parete di ghiaccio o di roccia? Non si può rispondere neppure dopo averla studiata palmo a palmo con il cannocchiale, perché cambia volto di giorno in giorno, addirittura di ora in ora. Tutta l’esperienza acquisita su altre montagne qui sembra inutile" ».
E’ interessante come poche righe lascino trasparire l’evoluzione tecnica e motivazionale dell’alpinismo che c’è stata nel Ventesimo Secolo.
Dico motivazionale rispetto a ciò che spingeva e spinge oggi un alpinista ad affrontare una montagna simile. All’epoca spesso i tentativi a vette o pareti importanti erano stimolate da ragioni politiche, di prevalsa di una nazione sull’altra. Oggi l’alpinismo ha un carattere decisamente più sportivo, atletico e mediatico, che haimé porta un sovraffollamento su vie simili da parte di cordate preparate e non.
Il primo giorno arriviamo al villaggio di Grindelwald. Tra prati verdi e mucche al pascolo, si erge la famigerata parete Nord, l’Ogre, l’orco mangiatore di uomini.
C’è un bel sole caldo, ma ci rendiamo conto che la parete è più innevata di quanto ci aspettassimo, e come sempre i primi dubbi si fanno avanti.
Saliamo sul trenino che ci porterà alla Kleine Scheidegg, stazione posta di fronte alla parete, dal quale turisti, mogli e politici, all’epoca della conquista, passavano le giornate a binocolare gli alpinsti impegnati nella salita.
Ci sembra di ripercorrere i libri di Harrer, in tempi moderni.
Anche noi subito a cercare monetine da infilare nel cannocchiale per scrutare la nostra via.
La neve fresca sembra abbondante ma ci accorgiamo che c’è una bella traccia che disegna la via Heckmair lungo tutta la parete… il morale cambia immediatamente, le speranze si riaccendono e siamo motivati più che mai. Alla fine scopriremo che la nuova neve ha semplicemente migliorato le condizioni della salita, e ci renderà la progressione più veloce.
Alle 3:00 del mattino siamo all’attacco della parete. Abbiamo il minimo indispensabile nello zaino, anzi, ci stupiamo quasi di quanto sia compatto per una salita simile. Ma vogliamo essere veloci e scongiurare il bivacco. Vogliamo goderci la salita al massimo e scalare leggeri. Pochi friends, tanti rinvii, una sola corda e da bere.
In caso di emergenza, un solo piccolo sacco a pelo estivo servirà a proteggere entrambi per qualche ora, in attesa della luce. Per fortuna non ci servirà.
Una parete simile deve essere affrontata con buona preparazione fisica e tecnica, ma anche con buona strategia, anzi direi che è essenziale.
Il materiale da portare appresso è una prima tappa, la seconda sono le tempistiche e lo studio dell’itinerario. Noi ci siamo prefissati di essere alle primissime luci alla “traversata Hinterstoisser”. Scaliamo al buio la “fessura difficile” e a quell’ora ci siamo.
dopo il “primo nevaio” ci dirigiamo al “canalino ghiacciato”
che non è altro che una goulotte di 20m, sottile ed esteticissima, che fa da liaison tra primo e “secondo nevaio”
Stiamo progredendo bene, e presto siamo al “ferro da stiro”.
Simon Antamatten in traversata sul passaggio difficile del “ferro da stiro”
Un tiro di misto delicato ci porta nei pressi del “bivacco della morte”, dove tante tragedie si sono consumate, e dove ora vi sono 5 spit per le cordate che bivaccano!!!
E’ ora di mangiare e bere qualcosa, la giornata è lunga, ma stiamo gestendo le nostre energie al meglio. Da un punto di vista del dislivello siamo forse oltre la metà, ma le difficoltà della via devono ancora venire. Percorriamo “la rampa” interamente a corda tesa
e ci fermiamo dove il cammino è interrotto dal “camino della cascata”.
D’estate dev’essere davvero un inferno in caso di pioggia. In inverno è quasi sempre secco e i numerosi chiodi in posto aiutano la progressione.
Ma è il tiro successivo a porre difficoltà non irrilevanti ad ogni cordata che passa. Proprio lì raggiungiamo due alpinisti che avevano bivaccato in parete il giorno prima. Uno di questi comincia il tiro, non mi sembrava molto a suo agio, e come giro la testa per recuperare Max sento uno sfregolio di ferro e roccia che mi lascia intendere il volo… eh si, il ragazzo è saltato giù almeno 6 metri trattenuto fortunatamente da una corta vite da ghiaccio da 10 cm!!! Non si è fatto nulla, e “gentilmente” ci lascia passare.
Io ho quasi fatto la stessa fine perché sul più duro un guanto mi si è incastrato in un moschettone costringendomi il braccio attaccato allo sterno. Qualche magia stile Udinì mi ha permesso di svincolarmi e superare il fungo di neve, non senza brividi :-)
La “rampa di ghiaccio” porta ad un traverso esposto e di conseguenza alla “fessura friabile” che friabile non è, anzi, persino divertente da scalare.
Ogni tanto restavamo in contatto con Nik e Gian con le radioline, e proprio a metà fessura mi sento chiamare, e chiacchiero un po’ con Gian… Simon, che era poco dietro di noi, ha chiesto a Max cosa stessi facendo e di sicuro mi ha preso per matto!!!
Dal pulpito che sovrasta la fessura, si ha accesso alla mitica “traversata degli Dei”, che se fosse secca e da proteggere interamente, ci sarebbe da farsela nelle mutande. Per fortuna Harrer and Co. hanno lasciato i chiodi e delle corde fisse per una parte del traverso.
E così raggiungiamo il “ragno bianco” pensando di essere ormai quasi fuori.
Non l’avessimo mai pensato… le “fessure finali” ci danno ancora un bel filo da torcere.
Anche perché cominciamo ad avere 1500m di scalata nelle gambe e nelle braccia, e la fatica si fa sentire.
Proprio mentre percorro il “ragno bianco”, vedo un ragazzo giovane, da solo, slegato che mi raggiunge e mi supera correndo senza neanche il fiatone. Gli sposto la corda perché non inciampi, mi ringrazia, e non lo vedo più. Il tempo di abbassare la testa e lo rivedo 100m più in alto che supera altre due cordate che avevano bivaccato il giorno prima. Il ragazzo ha attaccato la parete al mattino alle 9:00 e intorno alle 11:30 era in cima: ci chiediamo se abbia battuto il record di Ueli Steck.
Le fessure finali presentano ancora qualche strapiombo di roccia ed un camino nero, improteggibile, da superare.
Poi la parete lascia spazio al nevaio sommitale e alla cresta Mittelegi, per nulla banale neanche lei, affilata ed esposta per almeno 200m.
Max ed io siamo rimasti soli in cima all’Eiger seduti a guardarci e a guardare il panorama, cercando di realizzare che eravamo proprio lì.
Forse non l’ho realizzato neanche ora che sto scrivendo, mi sembra davvero di sognare, e dentro di me… ho la voglia di tornare su questa parete magica!
Ecco le chicche della salita:
e mentre aspettavamo che Nik e Gian scendessero dall’orco…
giretto al minigolf di Grindelwald
a Golf non ho decisamente nessun futuro!!!
mentre Max me le ha suonate severamente :-)
SCHEDA TECNICA
Accesso: da Aosta per il Tunnel del Gran san Bernardo fino a Martigny. Proseguire per l’autostrada fino a Berna e seguire le indicazioni per Interlaken e Grindelwald. 3:30h circa
Posteggiare l’auto e prendere il trenino che sale allo Jungfraujoch fino alla stazione “Eigergletscher”.
Punto di appoggio: alla stazione Eigergletscher si trova una comoda Guesthouse (Tel. 0041338287888) che dà da dormire solo agli alpinisti diretti alla parete N dell’Eiger. Non danno da mangiare la sera. Il ristorante è apero solo fino alle 16:00.
Avvicinamento: dall’arrivo della seggiovia posta a monte della ferrovia traversare in piano in direzione della parete. Scavalcare il dosso al meglio (restando alti) e continuare a traversare fino alla base della via.
Lunghezza: 1800m di dislivello, circa 2300m di sviluppo.
Difficoltà: estremamente variabile secondo la quantità di ghiaccio e di neve presente nella parte alta. In generale V e A0, 5 su ghiaccio, M.
Materiale: una serie di friends dallo 0.3 al 2 camalot, 12 rinvii, fettucce e cordini, 4 chiodi a lama e universali in caso di problemi.
Note: se non c’è la traccia, meglio partire con la luce: trovare la fessura difficile al buio senza tracce può far perdere molto tempo.
Bivacchi comodi: “bivacco della morte” in cima al “ferro da stiro”; all’uscita della “fessura friabile”; in cima al “camino della cascata”.
Dopo la fessura difficile la linea di salita è estremamente logica. Unico posto dove ci si può sbagliare sono le fessure finali: in cima al “ragno” bisogna entrare nei camini tutto a destra.
Successivamente, dopo la traversata delle corde fisse, salire il camino nero (poco proteggibile) appena a sinistra e non farsi tirare dagli spit sullo sperone contro il cielo (bivacco Corti).
Al momento sulla traversata “Hinterstoisser” vi sono una corda nuova e spit agli ancoraggi.
Ci sono quasi tutte le soste in cima ai tiri e la via è abbondantemente chiodata (chiodi da verificare).
Discesa: dalla cima restare contro il filo di cresta NO per circa 100m, poi evidentemente raggiungere il canale principale e scendere in direzione del seracco. Costeggiarlo a destra (orografica) e scendere i pendii puntando alla stazione del treno.
Bellezza: ******
Chi fosse interessato ad avere una foto della parete con il tracciato e i dettagli, in grandezza originale, lo può richiedere via mail.
2 commenti:
Hey!! Well done! Finally! Is there still something left to dream about?? ;-) Baci,
Eva
Complimenti!!!!!!!! Bello il montaggio sulle mutande del Gian!!!!!
Elena.
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