venerdì 31 dicembre 2010
Diabolik, Ossola
Aggiornamento Trip in the Night
martedì 21 dicembre 2010
20/12/2010 Ritornoa casa...ritorno al ghiaccio: è una malattia!!!
Quest'anno è decisamente l'anno del ghiaccio. Torno il 14 dicembre dopo un mese in Nepal chiedendomi se c'è qualcosa in condizioni tipo Patry, Sodoma, Gomorra....le classiche di inizio stagione insomma. Chiamo gli amici e sento già parlare di Repentance, Di fronte al tradimento colonnato centrale, Trip in the Night....mostri che solitamente si formano a metà gennaio!!!
Gian lancia l'esca e io e Nik ci caschiamo come due polli!!!
Ecco che ricomincia la rubrica delle condizioni delle cascate di ghiaccio:
è previsto un deciso rialzo termico con nevicate abbondanti, occhio alle valanghe!!!
Rovenaud: dal 3 al 4 secondo la linea di salita
ottime condizioni della cascata, ghiaccio abbondante. Soste a spit saledo a sinistra. Se nevica molto è pericolosa per le valanghe. Una prima grosa colata è già scesa con le prime nevicate, ma ha ricominciato oggi a nevicare.
Trip in the night: 5+
ottime condizioni, incredibilmente grande per il periodo. Anche il primo tiro è formato bene.
l'abbiamo salita il 18 ed il 20 dicembre.
A breve saranno riattrezzate le soste di salita e di calata, con conseguente aggiornamento del blog e relazione.
Gecco lavico: 4/4+ secondo le condizioni
la prima salita è dubbia. Marco Appino e Co. nel 2009 l'hanno salita pensando di avere fatto una prima. Oggi, sotto la neve abbiamo trovato dei cordoni"storici" che lasciano pensare ad una precedente salita. Ma poco importa, è una bella linea che merita di essere ripetuta.
Accesso: da Torino in direzione Ceresole Reale fino a raggiungere l'abitato di Rosone, dove si prende la biforcazione a destra per il vallone di Piantonetto. Si risale la valle fino sotto lo Scoglio di Mroz (parete dove d'estate si arrampica, sulla sinistra salendo). Si parcheggia l'auto in corrispondenza di una sbarra sulla sinistra. La cascata è esattamente di fronte, ben visibile.
Avvicinamento: Si prosegue 100m sulla strada principale per poi scendere a destra lungo una mulattiera che porta a delle baite. Si risale il cono fino alla base da 20 min a 1 ora secondo l'innevamento.
L1: 60m. Primo muro ripido (80-90) di 20 m, poi continua per risalti con passaggi a 80. Sosta su ghiaccio.
L2: due possibilità. A sinistra Giampiero Bertotti e Sofia Palmisano hanno salito una variante di ghiaccio di 40 m con tratti a 80. Sosta su alberi. Continuare per erba e traversare al meglio a destra per poi fare una corta doppia da albero che riporta nei pressi del salto succssivo. La salita originale, invece, continua nel canale con sue passi di misto facile per arrivare in alto a sinistra ad una sosta su albero attualmente attrezzata con kevlar dal quale poi ci si cala in discesa.
L3: Poco oltre, nascosto, c'è un tiro incassato che presenta pochimetri a 80 e poi si abbatte, per dare accesso al muro superiore. Sosta su ghiaccio a sx o dx del muro.
L4: Muro ripido 80-90 di 25m. Sosta a sinistra su albero. Non ci sono i cordoni. Per la discesa abbiamo passato direttmente la corda intorno all'albero.
La cascata fa ancora un facile risaltodi 80m circa a 60-70 con soste da attrezzare su ghiaccio.
Discesa: in doppia sulla via su alberi e abalakov.
Note: è pericolosa per le valanghe solo in caso di abbondanti nevicate.
venerdì 10 dicembre 2010
News da Kathmandu!!!! ...pronti per tornare a casa :-(
Ciao a tutti,
Gli ultimi giorni sono stati un po il clou della nostra spedizione.
In pochi giorni pero’ sono successe tante cose, ed altrettanti pensieri hanno scorso la nostra testa contornate da emozioni e stati d’animo che provero’ a raccontarvi.
Quest’anno siamo partiti con l’idea di salire il Chackung, montagna di 7000m che gia’ avevamo addocchiato lo scorso anno. Come ulteriore obbiettivo avevamo quello di raggiungere la vetta salendo una via nuova lungo la parete ovest e in autonomia ed in rigoroso stile alpino. Ma ahime’, le spedizioni costano molti soldi e allora abbiamo deciso di portarci appresso una cliente durante la salita di acclimatamento, chiaramente rivisitata per adeguarla alle capacita’ della ragazza.
Partiamo quindi da Kathmandu come previsto, e con Marine ci acclimatiamo a dovere fino ad arrivare al campo base del Nireka, vetta di 6200m nascosta dietro il Cho La Col.
Li, ultimiamo i preparativi, facciamo scuola di ghiaccio, « addobbiamo » il ghiacciaio come un parco giochi perche’ Marine possa impratichirsi con tutte le manovre di corda, ed ecco che il giorno dopo si parte per la vetta.
Marine aveva gia’ dato segni di debolezza il giorno prima, e quella mattina il solo allacciarsi gli scarponi le dava problemi a respirare e di affaticamento. Era ovvio che dopo pochi passi sarebbe tornata indietro, e cosi’ e’ stato.
Per Nik e me era importante portare a termine la salita in vista dell’obbiettivo principale.
Quindi, dopo aver riaccompagnato Marine alla tenda, che necessitava solo un po’ di riposo, in sole 3h 30min raggiungiamo la vetta del Nireka per la cresta SW, lunga 900m.
Scendiamo poi a Gokyo tutti insieme, e come da programma ci dividiamo : Marine termina il trek con la « guida » Sherku, e noi due rimaniamo a Gokyo a riposarci un paio di giorni prima di partire alla volta del Chackung.
Una prima ricognizione al 5o lago di Gokyo ci mostra subito che le due linee di salita individuate inprecedenza sulla parete non sono in condizioni ottimali : una presenta delle pericolose placche a vento in alto, e l’altra troppo secca in basso, scarica pietre durante il giorno.
Ci rimaneva l’opzione di seguire la linea salita nel 2003 dai coreani, era in buone condizioni, ma il piacere di salire un itinerario inesplorato e’ troppo grande e qui in Nepal, di montagne vergini ce n’e’ solo l’imbarazzo della scelta.
Dalla cima del Nireka, in quei pochi attimi di gelo e vento, avevamo scorso un’ altra cima che ci attirava : il Chumbu 6870m. Questo si trova ancora nella valle dietro al Chackung, rivolto verso il suo versante S, ancora un ulteriore giorno di cammino piu’ lontano.
Allora si parte, i nostri portatori Ram e Domi ci aiutano per 5 ore a portare i sacchi. Il terreno e’ dapprima un sentiero, poi un impervio largo ghiacciaio nero, sepolto dai sassi che ci separa dalla valle che conduce al Chumbu.
E’ l’una del pomeriggio, Ram e Domi devono tornare al villaggio, d’ora in poi ci siamo solo noi e gli zaini.
L’avvicinamento si mostra piu’ lungo ed accidentato del previsto con dune di ghiaccio e sassi, morene, colline erbose.
Ci vorra’ ancora un girono di cammino per arrivare al campo base, e quando ci sembra di essere alla base della parete, ancora 3 ore ci separano da essa. Gli spazi qui in Himalaya sono infiniti, tutto sembra piu’ piccolo di quel che e’ nonostante tutto sembri gia’ molto grande. E’ uno strano gioco di parole ma e’ cosi’.
Siamo gia’ molto stanchi, gli zaini pesantissimi qu questo tipo di terreno ci massacrano. A meta’ pomeriggio montiamo la nostra mini tendina Black Diamond e ci organizziamo prima per la cena e poi per la salita che avra’ inizio il giorno successivo.
Forti delle nostre capacita’ tecniche e delle nostre precedenti esperienze alpine, e Himalayane dello scorso anno ci prepariamo cosi :
C1 all’evidente colle alla base dello sperone piu’ ripido, tanto aspettiamo il Sole che in 3 h max siamo su. Poi dormiamo, il giorno dopo saliamo in vetta e scendiamo a C1, e poi si torna a Gokyo a mangiare bistecche e patate. Lo sperone di roccia e ghiacccio fa 1400m di dislivello circa, dovremmo farcela.
Cerchiamo di alleggerirci al massimo anche con l’attrezzatura per la progressione>
Portiamo infatti 1 corda gemella, 1 cordino in dyneema da 5,5mm per le doppie, 4 viti da ghiaccio, 4 friends, 4 chiodi da roccia e pochi dadi, tendina, sacco a pelo e cibo per tre giorni.
Gia’ solo arrivare alla crepaccia terminale, lo sprofondare nella neve con gli zaini pesanti ci stanca moltissimo e siamo solo a 5400m!!!
Come il terreno si fa piu’ ripido ogni passo diventa un inferno. Eppure siamo su un terreno sul quale nelle Alpi normalmente corriamo!!!
Ma non siamo nelle Alpi e rispetto alle vie che abbiamo salito qui in Nepal l’anno scorso, benche’ molto dure tecnicamente, ci sentiamo spiazzati, affaticati.
Proseguiamo lenti e il terreno si fa sempre piu’ ripido e complesso.
Entriamo in una zona di seracchi che bisogna per forza oltrepassare per avere accesso alla cresta e cosi’ poter piazzare « forse » il nostro primo campo.
Nik mi raggiunge in sosta dopo un tiro ripido, anche lui e’ stanco e forse un po’ sconfortato. Io riparto per il tiro successivo ed aggiro uno spigolo di ghiaccio che fino a quel momento ci celava la vista verso la cresta. Nik mi urla « com’e’ li dietro? Dovremmo quasi esseri, no? » Non sapevo tanto cosa rispondergli, se rassicurarlo inutilmente o se dirgli la verita’ … scelgo la seconda : «ci sono ancora 4 tiri di cui uno a 90 gradi su seracco !!!».
Mi guarda come se fossi matto, poi lo incito a salire dicendogli che ho addocchiato un buon posto per passare la notte, sotto un salto di roccia, al riparo.
Abbiamo ancora 1h30min di luce per quattro tiri di corda non facili. In quel punto la parete e’ articolata : seracchi, canali di neve, crepacci, muri di roccia e ghiaccio. Attacco io il muro a 90, gia’ e’ faticoso a bassa quota, li siamo prossimi ai 6000m. In un moi movimento brusco saltano via i paletti della tenda e ancora una volta ci guardiamo sconsolati. Ma il sito del bivacco sembra davvero ottimo e decidiamo di continuare.
L’uscita dal tiro ripido e’ di neve inconsistente al 100%. Esco dal tiro ma sono esausto. Il terreno si appiattisce di colpo e la neve e’ profonda. Non posso fare sosta per recuperare Nik. Decido allora di scendere in un crepaccia e lo assicuro in vita facendo da contrappeso. Sono sfinito. Lo vedo sbubare dal ripido e mi raggiunge.
Gli chiedo il cambio in testa allacordata per gli ultimi metri prima del bivacco. Mancano 40m, ma sono 40 lunghissimi metri a 70 gradi di neve-zucchero, dove non e’ possible proteggerci, e sotto di lui solo il crepaccio nel quale mi sono infilato per assicurarlo, poi il salto dei seracchi.
Finalmente alle ultime luci Nik sbuca sul terrazzo e mi recupera. Il posto e’ effettivamente comodo per la notte, anzi, super lusso per essere in piena parete.Ma siamo demoliti e passiamo piu di un’ora a cercare di montare la tenda senza paletti agganciandola ogni dove possibile.
Beviamo qualcosa e crolliamo nel sonno. Siamo a 6000 e stiamo benissimo, niente mal di testa, nessun sintomo del mal di montagna, solo la grande stanchezza fisica.
Il girono successivo decidiamo di acclimatarci ulteriormente e di riposarci, e di dare spazio solo ad una piccola ricognizione poco oltre.
Attaco il primo tiro dopo la cengia, un diedro di misto delicato che ci avrebbe condotti in cresta. Faccio 10m, poi un po’ confusamente costruisco una sosta e dico a Nik di calarmi. C’e’ qualcosa che non va. Eppure sto bene, on ho mal di testa, non ho nausea, ma che sta succedendo? La testa mi gira e la vista e’ appannata. La vetta mi sembra all’improvviso lontanissima e lo sperone insurmontabile.
Torno sul terrazzo da Nik e ne discutiamo. Provo a sedermi e a mangiare qualcosa. Sposto iul sacco a pelo, provo a prendere un pezzo di cioccolato e la testa gira ancora, forse un po’ piu’ che in precedenza. Sono ancora lucido, sento chenon puo’ essere nulla di grave perche’ non ne ho i sintomi, ma tutt’a un tratto mi sento davvero sperso nel nulla, lontano da tutto e da tutti. Non e’ come da noi che basta una telefonata e pochi minuti dopo arriva l’licottero che ci porta a valle o all’ospedale.
In questi momenti, in questi luoghi piu’ che mai, ognuno deve avere la lucidita’ di chiedersi se ne vale la pena rischiare la propria pelle per una vetta, per un premio, per farsi bello con gli amici, oppure se sia piu’ importante tornare a valle e garantire cosi’ anche la sicurezza del compagno.
Eh si, perche’ l’alpinismo, per quanto sia un’attivita’ propensa agli egocentrici e’ in realta’ un gran gioco di scquadra e in questi posti, lontani e remoti, lo e’ ancora di piu’.
La cordata assume un significato fortissimo di legame tra persone, e ci fa capire che non ci si puo’ legare con chiunque per fare certe salite, se non con un amico.
Se il significato che diamo al successo di una salita e’ l’acquisizione di nuova esperienza per poter farne tesoro in futuro, allora il poter contare sul supporto del compagno e’ importantissimo. Io non ho esitato un attimo a dire a Nik che preferivo scendere preche’ non stavo bene, sapendo di poter contare sulla sua comprensione e sulla sua valutazione obbiettiva della situazione : che anche con un giorno di riposo non saremmo arrivati in vetta, che eravamo troppo stanchi, e che il moi stato di salute poteva potenzialmente aggravarsi molto. In tal modo siamo scesi in totale sicurezza e abbiamo raggiunto il villaggio il girono dopo. Io sto meglio, ma siamo entrambi prosciugati di ogni forza.
Ma allora dove abbiamo sbagliato? Cosa c’e’ di diverso dale salite che abbiamo effettuato l’anno scorso?
Il trittico di vie realizzato precedentemente e’ fatto di salite che raggiungono ua quota massima di 6000m, molto dure tecnicamente ma che hanno un avvicinamento relativamente breve. Nonostante avessimo sacchi pesanti perche’ erano previsti bivacchi in parete, si procedeva sempre a tiri di corda e di consegueza si aveva una buona possibilita’ di riposo dopo ogni tiro, ed ancora, sui tiri piu’ duri il sacco veniva issato in modo tale che il primo di cordata (e a volte anche il secondo) potesse arrampicare scarico. Inoltre abbiamo sceso tutte le vie in corda doppia.
L’obbiettivo di quest’anno era una montagna di 7000m dove benche’ dura, richiedeva lunghi tratti di arrampicata in conserva. Quindi poche possibilita’ di riposo, e progressione su terreno dove il sacco non poteva essere issato. Di conseguenza arrampicavamo sempre, anche sui tiri piu’ difficili, con uno zaino pesantissimo.
Se a questo aggiungiamo che in alcuni tratti la neve era profonda questo ci ha fortemente provati in « soli » 600 m di parete.
Ma in realta’ questo e’ solo una piccola parte di cio che ci ha sfiniti. Questa era una via dura ma assolutamente alla nostra portata da un punto di vista tecnico.
Il problema e’ stato, a nostro parere, la strategia errata ad averci logorato poco a poco.
Se si parte per un obbiettivo cosi’ alto ed impegnativo, bisogna ottimizzare le energie durante tutto il periodo di acclimatamento e di spostamento, rimanendo concentrati sull’obbiettivo finale.
Non si puo’ pensare di portare un cliente al seguito per fare una salita di acclimatamento che sara’ sicuramente un compromesso, e non l’ideale per raggiungere il proprio obbiettivo, perche’ ci si stanca, ci si logora e non ci si prepara in modo adeguato. Non si puo’ girare mezzo Khumbu alla ricerca di buone condizioni e poi, una volta trovate, partire in totale autonomia per affrontare una salita di questo tipo, senza avere almeno un campo base attrezzato dove riposare adeguatamente.
Noi al campo base siamo gia’ arrivati stanchi.
Per affrontare una salita cosi’ impegnativa e’ assolutamente necessario nutrirsi bene, riposare bene e ottimizzare le energie.
Se fossimo andati direttamente al campo base e ci fossimo acclimatati su montagne limitrofe, ed avessimo avuto un campo base attrezzato per riposare « bene » avremmo probabilmente portato a termine la nostra salita…ma e’ stata una scelta la nostra, di essere autonomi fin dal villaggio, o quasi.
Qui in Himalaya ci siamo resi conto che non bastano le capacita’ tecniche e l’esperienza acquisita nelle alpi, anche per i « non 8000 ». E’ un gioco tutto nuovo da imparare, dove contano molto l’esperienza locale e la strategia.
Questo nostro non raggiungere la vetta ci ha portato grande esperienza della quale faremmo tesoro per le spedizioni future.
Bisogna forse giungere ad un compromesso, che non va pero’ ad intaccare lo stile con il quale si compie una salita?! Forse l’avere qualcuno che aiuta a portare il materiale fino alla base e’ accettabile in questi paesi?! Alla fine non siamo macchine ne trattori, alla fine e’ il lavoro della gente locale aiutare il « turista » a portare il materiale lungo questi spazi infiniti. Certo, l’autonomia totale darebbe un’importanza ed uno spessore diversi alla salita….ma allora non dovremmo prendere neanche l’aereo fino a Lukla?!?!?!?!?!
E’ difficile giungere ad una conclusione, forse non esiste. Noi ci siamo resi conto che per salite di un certo livello ad una certa quota ed in posti remoti come gli angoli dell’Himalaya, l’autonomia totale e’ veramente impegnativa, forse fuori dalla nostra portata, ma ci rifletteremo ancora. L’unico punto fermo e’ lo stile con il quale affrontare una salita : lo stile alpino per quanto possibile. Per raggiungere la vetta o si e’ in grado da soli o si torna a casa, non ci sono compromessi etici o commerciali.
Ringraziamo tutti coloro che ci hanno seguito e supportato con i messaggi.
Si ringraziano infinitamente gli sponsors Scarpa e Black Diamond per la fornitura del maeriale tecnico di alta qualita’.
Ringraziamo inoltre Veronica Balocco per l’ottimo lavoro di comunicazione durante tutta la spedizione.
Consultate il sito nelle prossime settimane per le date delle serate che avranno luogo in Piemonte e Valle d’Aosta. Non esitate a contattarci se volete che portiamo le belle immagini de Nepal anche nella vostra zona.
A presto,
Enrico e Nicolas
ecco alcune foto della salita...
campo base
primi pendii...laparte facile
non sono riuscito a girarla...misteri nepalesi:-)
unosguardo indietro,verso i Khangjung
la faccenda si fa seria...
e sempre piu ripida
e sempre piu'....profonda
zig zag tra i seracchi
dopo loo spigolo...una "bella" sorpresa
....aspetta che guardo....
altri 4 tiri prima di poterci preparare per la notte
di cui uno a 90....con cigliegina in uscita, neve inconsistente
il crepaccio dal quale ho assicurato Nik...meno male che non lo sapeva!!!
ultimi luuuunghi mentri prima del bivaco sotto lo strapiombo di roccia...la fine della nostra salita!